lunedì 19 marzo 2018

INTERVISTA: Manlio Castagna ci parla di "Petrademone. Il libro delle porte"

Buongiorno!
Come promesso, arriva anche l'intervista fatta a Manlio Castagna, autore di "Petrademone. Il libro delle porte" (qui la recensione), a Tempo di Libri. Buona lettura!




Quando arriva a Petrademone, la tenuta tra i monti in cui gli zii allevano border collie, Frida è chiusa in un bozzolo di dolore. Ha perso entrambi i genitori e l'unica cosa che le rimane di loro sono brandelli di ricordi in una scatola. Ma in quello che potrebbe essere il posto ideale dove guarire le ferite dell'anima, qualcosa striscia nell'ombra sotto la grande quercia. I cani della zona spariscono senza un guaito, come se un abisso li avesse ingoiati. la zia, colpita da una malattia inspiegabile, rivela a Frida un importante segreto di famiglia. Insieme ai suoi tre nuovi amici e altri improbabili alleati, la ragazza si trova così a indagare fra strani individui che parlano al contrario o per enigmi, un misterioso Libro delle Porte e creature uscite da filastrocche horror.
Nessuno è chi sembra o pensa di essere, i poteri si rivelano, i mondi paralleli si toccano.
La nebbia si alza densa a Petrademone, e per Frida, Tommy, Gerico e Miriam comincia l'Avventura, quella che cambierà le loro vite per sempre.




Intervista

Com'è nato "Petrademone. Il libro delle porte"?

Nasce da un dolore molto forte: avevo un cane, un border collie, ed era il mio migliore amico, come un fratello. Il 1° luglio 2016 succede un incidente di cui mi sento responsabile, è come se l'avessi ucciso io. Il dolore è molto forte e l'unica cosa che mi resta da fare è metterlo su carta, senza però raccontare di lui in maniera diretta, per sublimare il dolore. Comincio a scriverlo il 4 agosto e la storia prende una piega diversa da quella che immaginavo, prende una forma, quella del fantasy, non voluta all'inizio. L'allevamento di Petrademone esiste, come anche quei cani, quella casa, e in quel posto le persone e i cani vivono fuori dal mondo. È un posto reale che ha già una dimensione fantasy.
Il libro nasce anche da un'altra idea: lavorando per Giffoni, ho da sempre avuto a che fare con i ragazzi, da circa 20 anni, e mi è sempre piaciuto raccontare storie ai giovani, e amo soprattutto spaventarli, trovo affascinante l'idea di spaventare. A mia figlia ad esempio cerco di inventare ogni sera una storia per lei, sempre spaventosa. Volevo raccontare lo spavento ai ragazzi, e credo che tutte le buone storie si muovono intorno a due elementi fondamentali: la paura e il desiderio. Quando questi due elementi riescono a concentrarsi in una storia, questa diventa appassionante.

Per l'ambientazione ti sei ispirato a una zona particolare?
Sì, alla zona dei monti Lucretili, tra Rieti e Roma, che ha questi villaggi che hanno una dimensione fuori dall'ordinario, anche nei nomi. L'ambientazione risente di quel realismo magico che è tipico di quei luoghi. Questo doveva essere un fantasy italiano, non mi piace l'idea di dover ambientare necessariamente in quei posti dai nomi super esotici e nordici, mi piaceva l'idea di ambientarlo in Italia. 

E per Frida invece?
Non mi sono ispirato a mia figlia perché quando ho scritto il romanzo era troppo piccola, non conoscevo ancora il suo carattere. È un personaggio più legato a mia moglie per certi versi, per la sua curiosità, e inoltre, quello che dico sempre a chi scrive quando insegno sceneggiatura è di guardarsi intorno, perché intorno c'è già tutto, i personaggi sono già nelle persone che conosciamo. Per questo mi guardo intorno per prendere ispirazione.  

Ci sono state influenze da parte di altri autori?
Per la mia passione per la lettura e la scrittura nasce da quel dio in terra che è Stephen King: avevo dodici anni e odiavo andare a scuola, perciò marinavo le lezioni e con il mio It nello zaino andavo in un palazzo abbandonato a leggere It, che mi ha cambiato la vita. Poi amo Umberto Eco, Calvino e Buzzati, poi a 17 anni mi innamoro di Kafka, che diventa il mio amore incontrastato. Poi ho letto Neil Gaiman, e mi è piaciuto da morire e in questo momento adoro anche Frances Hardinge, l'autrice di "L'albero delle bugie". Mentre scrivevo Petrademone stavo leggendo il suo romanzo e mi ha fatto capire che si può anche osare con la lingua con i ragazzi, si può anche non essere semplici e banali nella scrittura. 
Oz per me rappresenta l'archetipo di ogni viaggio immaginifico, Oz è il viaggio stupefacente della ragazzina in un altro mondo. In Petrademone mi muovevo sul doppio livello tra Oz e Alice fondamentalmente, ma sento che Oz rappresenti il viaggio fatto per tappe, la scoperta di se stessi, lo stare lontano da casa, quello che fa Frida. Più che un fantasy, un gotico, questo è il romanzo di formazione di Frida. Volevo che Oz fosse un accompagnamento. 

Cosa accomuna e cosa differenzia la sceneggiatura e il romanzo?
Li trovo molto simili, io mi approccio a entrambi con lo stesso procedimento (trattamento, la scaletta, la divisione in 3 atti, il viaggio dell'eroe), quello che cambia fondamentalmente è che nella sceneggiatura tutto dev'essere rigido e schematico, devi sapere sin dall'inizio dove vai a parare. Nel romanzo invece c'è anche la scoperta, hai anche il bisogno di meravigliarti e di stupirti tu stesso, quindi hai più libertà in questo, però il procedimento di scrittura ha strutturazioni molto simili. Sono partito da un what if: cosa succederebbe se tutti i cani della terra sparissero? Poi i tre atti, l'impostazione: prima scena, sviluppo, climax e risoluzione. Il fascino di Petrademone è che essendo strutturato nella mia testa come tre libri, il primo libro è una parte di questa strutturazione, come se fosse il primo atto.  

Come hai scelto i nomi fantastici?
Il magro notturno deriva da Lovercraft, che è un altra delle mie ispirazioni e di cui mi sono nutrito in gioventù, per il resto nascono a volte da ricerche varie: Amalantrah, ad esempio, è un nome legato all'occultista Aleister Crowley. Ognuno di quei nomi viene dalle mie letture, come Villa Bastiani che è un omaggio a Dino Buzzati e a "Il deserto dei tartari", così come Drogo. Molti nomi sono legati anche a Kafka, come Klam. Tutto è un omaggio continuo.

L'amicizia è un tema importante nel tuo romanzo
Sicuramente! Credo che lo stare insieme da parte dei ragazzi sia ciò che crea poi il senso del potere, nel senso buono del termine. le solitudini messe insieme creano una compagine capace di affrontare qualsiasi tipo di problema. Vedo tantissimi ragazzi che da soli sono indeboliti dalla propria incapacità di capire chi si è, ma in un'amicizia si diventa un tutt'uno potente. I Goonies, Stand by Me o Stranger Things rappresentano tutti questa idea. Infatti, anche se è un po' tra le righe, è presente un'ambientazione anni '80, perché per me gli anni '80 e quest'ondata di revival di letteratura e cinema anni '80 riguardano una cosa fondamentale: il fatto che adesso i ragazzi hanno perso il senso dell'avventura e della scoperta perchè se c'è un problema o un mistero loro vanno su google e trovano la chiave. In quest'anni, invece, c'erano i due verbi del muoversi, dell'azione, ovvero cercare e scoprire, quindi ogni avventura ha bisogno del verbo di movimento che i ragazzi hanno perso. 

E i simboli da dove vengono?
Dal sanscrito e altre letterature morte o poco conosciute, quindi lettere dell'alfabeto di altre letterature esotiche. "Urde" invece è inventato.




Ci ha raccontato anche qualcosa del secondo libro, ma su quel versante non posso dire niente, tranne che ci aspettano grandi cose :D

A presto,
Silvy

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