Buongiorno!
Ieri sera abbiamo incontrato Manlio Castagna e abbiamo fatto una bellissima chiacchierata sul secondo libro della trilogia di Petrademone.
Vi lascio QUI la mia recensione del primo libro, in caso voleste saperne di più sulla storia.
Titolo: Petrademone. La terra del non ritorno
Autore: Manlio Castagna
Casa editrice: Mondadori
Data d'uscita: 5 febbraio 2019
Pagine: 521
Prezzo: €17,00 (ebook €8,99)
TRAMA
Lasciato ormai il nostro mondo, Frida, Miriam e i gemelli Ober-dan si inoltrano nei regni di Amalantrah per salvare i cani spariti, ritrovare i propri cari e soprattutto Iaso, il guaritore, l'unico in grado di curare Gerico dal veleno degli uomini vuoti. Nel viaggio dentro le perenni nebbie di Nevelhem, le strade dei ragazzi si dividono e le missioni si fanno sempre più difficili. Dovranno affrontare nuove e inquietanti creature (animali vampiro, aquiloni ingannatori, ipnoratti e spettri affamati di paura; viaggiare su vascelli fantasma in fiumi di tenebra e scoprire città sbalorditive. Ad aiutarli gli intrepidi border collie di Petrademone, che staranno al loro fianco nei momenti decisivi. Numerosi saranno gli enigmi a cui dovranno dare una risposta: chi domina gli adoratori di Shulu? Perché Miriam non ha voce, ma sa far comparire parole profetiche sul Libro delle Porte? Perché il Signore degli Incubi imprigiona le anime dei bambini dietro gli specchi? I ragazzi dovranno puntare al cuore stesso del Male e disinnescarlo. Sapranno farlo senza perdersi?
La trilogia:
1. Petrademone. Il libro delle porte
2. Petrademone. La terra del non ritorno
3. Senza titolo
Intervista a Manlio Castagna
Ci hai raccontato che l'adattamento di Petrademone sarà probabilmente più maturo, per un pubblico più adulto, però se c'è una cosa particolare di Petrademone è che, nonostante sia un libro per ragazzi, ha avuto molto successo anche tra gli adulti perché ha questa capacità immersiva e di empatizzare con i personaggi che è interessante, non so se è una cosa di cui te ne sei accorto dopo o che magari anche in fase di scrittura hai notato.
Ti ringrazio, anche io me ne sono rimasto molto sorpreso. Ammetto che di letteratura per ragazzi io non sapevo nulla, e neanche di fantasy, tranne pochissime eccezioni. Per me la letteratura per ragazzi era It di Stephen King, o Kafka. Allora mentre scrivevo mi sono reso conto che forse non era specificamente per ragazzi, però credo anche che sia un'etichetta troppo ingombrante quella della letteratura per ragazzi, in cui devi scrivere in un certo modo e con un certo tipo di stile e linguaggio, credo che sia un argine che vada un po' dimenticato quando scrivi. E chi mi ha fatto dimenticare e mi ha dato la forza per capire che potevo osare anche un po' sia nel linguaggio che in quello che facevo è Frances Hardinge (autrice de "L'albero delle bugie"), perché leggere lei mi ha fatto capire che si può andare oltre e osare, non tanto per il linguaggio, perché cercavo di mantenere una certa sobrietà, ma almeno nei temi e nel modo in cui si racconta.
Tu scrivi sia romanzi che sceneggiature per il cinema. Quali sono le differenze e le maggiori difficoltà che hai riscontrato nella scrittura?
Nella sceneggiatura, ciò a cui non devi stare molto attento è lo stile: la sceneggiatura è una struttura che tende a un'altra struttura, come dice giustamente Pasolini, non è un'opera che finisce lì dove vai a scrivere, è qualcosa che è fatta perché poi diventi un'altra cosa, quindi lo stile è importante ma nei dialoghi, mentre nell'azione poi essere anche più sciolto, più superficiale. L'idea che invece devi far vedere al lettore un ambiente, un personaggio, una situazione, è stato il primo scoglio da superare, quindi la difficoltà maggiore è far vedere attraverso le parole, e non attraverso il mezzo filmico, le emozioni ad esempio. Una delle cose a cui tenevo era mostrare in questa trilogia i diversi modi in cui le persone possono piangere, perché mi affascina molto questo aspetto, i tanti modi in cui uno scrittore può raccontare del pianto.
Rimanendo in tema scrittura, ti è sembrato che il tuo stile sia cambiato dal primo al secondo libro, oltre al fatto che è molto più lungo.
La scrittura è cambiata tantissimo, credo completamente, per due motivi: primo, perchè più scrivi, più alleni la scrittura, più diventa facile raccontare le cose. Poi il lavoro con gli editor è fondamentale, perché ti fa capire tantissime cose del percorso che stai facendo. L'incontro con i lettori tra il primo e il secondo libro ti fa capire se devi prendere una strada piuttosto che un'altra, e poi per me è stato fondamentale il fatto che in questo anno ho incontrato tantissimi scrittori che sono poi diventati miei cari amici. Quando ti confronti con altri scrittori è inevitabile che la tua scrittura cambi, e nel terzo cambierà ancora, come anche nei miei prossimi romanzi.
C'è una scena nel libro in cui hai usato nomi di colori molto particolari. Come sei arrivato a quella scelta?
Io sono un appassionato di grafica, ho lavorato anche in grafica, ho passato quindi le giornate a guardare i pantoni, i loro nomi, le loro variazioni e dato che sono anche un maniaco appunto tutto ciò che riverbera nel mio cervello, scrivendo quaderni pieni di parole, o storie di persone che incontro e che mi invento. Questi nomi di questi colori li ho appuntati qualche anno fa sul taccuino dei colori. Niente è caso, faccio tantissime ricerche quindi nessun nome è lì a caso. C'è anche un chiaro riferimento a "La città incantata" di Miyazaki.
Come mai il tema cardine è la paura?
Se inizio a parlare della paura potrei non smettere più: adoro raccontare ai ragazzi di come sto allenando mia figlia di 3 anni e mezzo allo spavento (infatti mia moglie mi ha detto di darci un taglio), e quando le racconto le storie della buonanotte sono sempre storie di decapitazioni, zombie ecc.... In generale, ho capito che la paura tiene strette le persone quando portavo le ragazze al cinema, al primo appuntamento, e sceglievo un film horror in modo che loro si avvicinassero a me, spaventate. La paura tiene vicini, trovo sia un sentimento affascinante di avvicinamento, è la voglia di trovare un'altra persona con cui condividere e proteggersi. Quello che ci ha fatto evolvere come esseri umani è la paura, perché quando i primitivi hanno capito che insieme si poteva ovviare ai pericoli, si è passati dalla caverna, al comune, alla città, alla nazione. Ormai oggi la paura viene usata, soprattutto a livello politico per chiudersi, non per proteggersi, e questo è uno sbaglio.
Ci sono tanti riferimenti alla cinematografia, come Guillermo del Toro e Burton, c'è tanta letteratura e tanta nostalgia anni '80.
Nostalgia tanta, perché invecchiando ho nostalgia della mia giovinezza, anche perchè adesso si è perso il concetto di avventura. Ormai con internet è facile trovare tutto, non si esplora più per conoscere le cose, negli anni '80 dovevi ricercare, e la ricerca porta movimento e il movimento avventura.
Io ho finito di scrivere il primo libro di Petrademone il 4 ottobre, e l'11 ottobre ho visto la prima puntata di Stranger Things e volevo suicidarmi, perché c'erano tantissime somiglianze, anche se non l'avevo ancora guardato, che ho dovuto mandare a tagliare altrimenti sarebbe stato troppo simile. Anche la prima bozza della copertina di questo secondo libro, ho pensato che fosse troppo Stranger Things. C'è così tanta somiglianza, perchè attingiamo allo stesso universo che è quello degli anni '80, ma ho dovuto tagliare tantissime cose, perchè non sarei riuscito a spiegare alla gente che ancora non avevo visto Stranger Things. È anche il motivo per cui Netflix quasi sicuramente non farà Petrademone.
Molto caratteristiche sono le ambientazioni che, nonostante la nota fantasy, hanno tanto di italiano.
È una scelta molto precisa, perchè l'Italia ha delle potenzialità narrative pazzesche. Credo che la provincia italiana sia piena di orrore, perché c'è tanta noia, e dove c'è la noia ci sono i mostri, e dove ci sono i mostri c'è la paura, che mi affascina. Infatti Ivan Cotroneo, che sta lavorando all'adattamento televisivo, è ancora di più spinto sull'Italia.
E quali sono le città che ti hanno ispirato?
Le mie ispirazioni sono le città invisibili di Italo Calvino, che poi sono italiane. Tra queste c'è anche una città piena di aquiloni, come nel mio libro.
Tra le tematiche ci sono in Petrademone ci sono ovviamente quelle per ragazzi, come il coraggio e l'amicizia, ma poiché è un libro che parte dal dolore e dall'elaborazione del lutto, quando hai inserite queste tematiche non hai avuto un po' paura che potesse essere limitativo? Ad esempio una mamma che si preoccupa che il figlio giovane legga di morte.
Quando scrivo non parto mai dalle tematiche, quando le persone mi dicono che hanno apprezzato il tema del coraggio, dell'amicizia o della diversità, io rimango stupito perchè non ci avevo proprio pensato. Non voglio scrivere di valori, ma di storie che siano belle da leggere. Mi interessava, invece, raccontare la morte e la perdita, perché questa serie nasce da una mia perdita molto forte. Per me, i due temi che mi interessano sono la perdita e la memoria, e non mi interessa se un professore dovesse trovare il libro troppo cupo per la sua classe, perché a me piace scrivere di questo. Anzi, quello che sto scrivendo è ancora più dark.
I ricordi, infatti, sono un'altra pietra miliare di questa serie, e io personalmente sono terrorizzato dall'idea di perdere i ricordi, quindi mi ha toccato tanto. Quindi come mai?
Uno dei libri della mia vita è stato "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust, l'ho letto da adolescente e lì c'è tantissima memoria. Inoltre, qualche anno fa al Giffoni, una ragazzina ha pianto durante un film, e quando le ho chiesto perché mi ha risposto di aver perso recentemente la madre, ma ciò che la distrugge è che la perde giorno dopo giorno, dimenticando le piccole cose. Quella ragazza mi ha fatto intuire che la morte non è il momento in cui perdi una persona, ma quando perdi i ricordi di quella persona. Volevo che questo romanzo parlasse di questo.
Frida, per non perdere i ricordi, li scrive e li mette dentro uno scrigno. Effettivamente, secondo te, è un buon metodo?
Sì, scrivere è un metodo straordinario. Io sono un fanatico del non perdere i ricordi, io scrivo tutto sui diari, e questo mi serve molto, è come se affidassi il bello a una entità più affidabile, perchè la memoria è selettiva. Quando si scrive, per necessità si elabora il ricordo, quindi si è costretti ad ampliarlo, ad arricchirlo con altre cose, lo si tradisce anche, e tradire il ricordo non è fargli del male, ma amplificarlo, renderlo più poetico anche.
Quali sono le grandi difficoltà che riscontri come scrittore nel creare un mondo in grado di catturare l'attenzione da chi è sovrastimolato da altre cose, come film, serie tv, app, videogiochi?
La vera difficoltà è di essere onesti: quando crei un mondo devi credere in quello che stai scrivendo, non devi essere superficiale. E non significa descrivere ogni cosa nel minimo dettaglio. Inoltre, una serie tv, un film, ti danno una visione pre-metabolizzata, passiva, invece andando nelle scuole noto che i ragazzi hanno voglia di immaginare, di completare quello che lo scrittore sta dicendo. Un bravo scrittore, come dice Calvino, deve nascondere le cose, non rivelarle, ed è compito del lettore andare a cercarle. Se il lettore non ha niente da scoprire, lo scrittore ha sbagliato il suo mestiere. Nascondere, però con onestà, dando le chiavi con cui leggere. Io Frida non la descrivo quasi mai, un personaggio deve emergere da quello che fa, ho cercato di darle un volto pagina dopo pagina. Meno descrivi poi è più facile per il lettore immedesimarsi, infatti mi spaventa un po' l'idea che diventerà un film perché da quel momento Petrademone sarà quei volti.
Quindi non hai mai pensato a un tuo dreamcast?
Sì, in realtà nella mia immaginazione Frida assomiglia molto a Mariasole Pollio. Se dovessi farlo americano, Drogo sarebbe Ian McKellen, per Miriam invece Sophia Lillis, che ha fatto "It". Anche se probabilmente nell'adattamento i personaggi saranno più grandi.
Parlando di personaggi, qual è il tuo preferito?
Forse Drogo. Che poi, nelle scuole, mi chiedono spesso se mi sono ispirato al Trono di Spade per il nome (Khal Drogo), in realtà no, per niente, perché il nome viene da "Il Deserto dei Tartari" di Buzzati.
Visto che abbiamo parlato di paura, ci fai un'inciso anche sulla malinconia?
La malinconia è il sentimento che più preferisco in assoluto, insieme alla nostalgia: nostalgia significa il dolore del ritorno, il sentimento di non poter più avere quello che hai avuto prima. La malinconia un sentimento di stacco da quello che sei in questo momento, è la percezione che il mondo va in una direzione diversa rispetto a quella in cui stai andando in quel momento. Come se il mondo ti sfuggisse, diventasse nebbioso.
Cosa ci puoi anticipare qualcosa del terzo libro?
È stato il più complesso da scrivere perché ho dovuto concludere tutte le linee, perché odio non chiudere tutte le linee narrative alla fine di una saga. Non rispondere per forza a tutte le domande, ma devono esserci tutte le spiegazioni. Il finale spero non sia scontato, perché non mi piacciono i finali in cui il protagonista ottiene tutto senza aver perso nulla. Un buon finale deve far sì che l'eroe conquisti il suo premio, però a scapito di qualcosa. E non trovo giusto uccidere tutto i personaggi.
Che ne pensate? Aspettavate questo secondo libro? Vi ispira? Fatemi sapere!
A presto,
Silvy
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